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recensioni

sabato 25 febbraio 2006

dal BRESCIAOGGI inserto spettacoli - autore FABIO BIX

Porque cuando quiero... ah!, porque cuando quiero, me dessangro en besos!
È un verso d’un tango di Julio Soza, argentino. «Quiero» si può tradurre con «amo» o con «voglio», se intese nel medesimo significante. Tradotto, quindi, fa + o – così: «Perché quando amo, ah!, perché quando amo, mi dissanguo in baci!».
Una frase così... Se uno, bocca che sanguina parole, ti canta una roba così... Que mas?!, dico. No comment, dico. Che vuoi commentare, dire, più di (o su)... Eh?!...
E lunedì, all’Antica Birreria della Bornata 46, al pianoforte c’era Oscar Del Barba, che ogni tanto s’allungava nella pancia del piano a mezza coda (o dentro la coda del piano a mezza pancia) e ne percuoteva i tendini in azioni riflesse dalla schiena scoperchiata nero lucida del pianoforte. E Fausto Beccalossi violentava i presenti di sevizie auspicabili poiché perpetrate con falangi ballerine su bottoni di perla della fisarmonica nera, percossa anch’essa a ritmo di milonga. Idem Guido Bombardieri, che s’è scisso tra sax soprano e un paio di clarini neri, uno dritto e l’altro lungo un miglio, a forma di sax e dai suoni-tuoni fondi/ bravissimi. Il trio si chiama Ituar, che, come hanno spiegato, non vuol dire niente.
Per rendere il senso di quel ch’è avvenuto là sotto, ti dirò... Come bis han suonato Vuelvo al sur (di Piazzolla, argentino come Soza), nel cui testo c’è quel verso che dice: «torno al sud, come si torna sempre all’amore»... beh... L’Ituar ne ha dato un’interpretazione da carne maciullata e ricomposta a puntino, bava alla bocca, noi.
E un paio di tavoli davanti al mio, una coppia, tra l’uno e l’altro brano, si dava baci e li capisco, che diamine, pareva d’essere in fonderia, ferriera di sentimento e passione, l’Ituar. Roba che se, per caso, hai il cuore rovesciato a testa in giù e cicatrici d’un amore reciso, ah, la loro musica, il corazon, il pulsare fa un po’ male ed è verso il basso, come gli orecchini pendenti con contorno di stelle della tipa che si sbaciucchiava lì davanti. Ma se, invece, hai una donna a cui tenere la mano o anche tender solamente i pensieri, uh, sì, il medesimo pulsare, ma il cuore ha collo lungo e batte in su.
Perlopiù han suonato brani loro, gl’ituar’s. E, sì, mi pare che c’entri... le loro composizioni, dico... mi sovviene, seppur l’ambito è diverso, un brano di Julio Cortàzar - argentino pure lui - dal libro Rayuela (Einaudi), e che vorrei tanto aver scritto io: «Non posseggo idee chiare, e nemmeno posseggo delle idee. Ci sono dei brandelli, degli impulsi, dei blocchi, e tutto cerca una forma, allora entra nel gioco il ritmo, e io scrivo entro quel ritmo, scrivo tramite esso, mosso da esso e non da ciò che è detto pensiero (...). C’è innanzitutto uno stato di confusione, che può unicamente definirsi nella parola; da quella penombra io parto, e se ciò che voglio dire (se ciò che vuole dirsi) possiede sufficiente forza, immediatamente ha inizio lo swing, un dondolio ritmico che mi trae in superficie, illumina tutto (...). Quel dondolio, quello swing in cui si va informando la materia confusa, è per me l’unica certezza della sua necessità, perché appena cessa comprendo che non ho più nulla oramai da dire. Ed è anche l’unica ricompensa al mio lavoro: sentire che ciò che ho scritto è come la schiena di un gatto alla carezza, con scintille e arcuarsi cadenzato. (...) Scrivere è disegnare il mio mandala e nello stesso tempo percorrerlo, inventare la purificazione purificandosi; compito da povero sciamano bianco in mutande di nylon».
Fabio Bix

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