recensioni
dal BRESCIAOGGI inserto spettacoli - autore FABIO BIX
È un po’ che non ti parlo di Boris Vian, vero? Pronti!
A lui, in fatto di lettere dell’alfabeto, la sua vera passione dico, era la «Z». Lo so, è strambo, ma è... tipicamente vianesco. Amava far leva sul potenziale simbolico e affettivo della fonetica, Vian. Adorava, Boris, reinventare le parole: era il suo modo di ridisegnare il mondo. E, in tutto ciò, Vian era attratto fino all’ossessione dalla lettera che chiude l’alfabeto. Ah, tra parentesi: («zizi» era il vezzeggiativo sessuale femminile da lui usato).
Io? Da ben più di trent’anni, io, scruto le ragazze. Ce n’è di tutto un po’. E le ragazze, loro, si posson conciare usando di tutto un po’, se ci san fare con gli abbinamenti. Possono azzardare a oltranza, loro: gonne lunghe, corte, sbilenche, e pantaloni alla caviglia-al polpaccio-al ginocchio-all’inguine e camicette e scamicette e cravatte e foulard o cappellacci e colori i più azzardati: possono, le ragazze.
La parola «ragazze» contiene due «Z». Anche la parola «Jazz»...
Sì, certo, anche «ragazzi» ne ha due, e anch’essi, sì... Ma le ragazze, per la loro complessità e colori e sfumature, per via del rossetto e del reggipetto e del mestruo e dei figli e che, mi pare, ridono di più, le ragazze... sono decisamente (più) Jazz! Boris Vian, ne sono convinto, sarebbe d’accordo con me.
Forse Andrea Pozza pensava alle ragazze, mentre s’apprestava a buttar la pasta verso le settemmezza di sera, là in casa sua, a Genova.
Invece il sassofonista Renato D’Aiello, uno che ha suonato con una sfilza di mostri del jazz, era già lì, alla Birreria della Bornata 46, alle sette ½ di lunedì scorso, nonostante venisse da Londra dove oramai vive. Il batterista Alessandro Minetto era reduce da Amsterdam (il volto non tradiva d’abusi...) ed era già arrivato pure lui, alle 7.30 p.m. Idem il contrabbassista Nicola Muresu, che fino a due giorni prima stava al calduccio di Barcellona, pensando, forse, ai mostri del jazz con cui ha suonato pure lui.
S’erano sentiti un mesetto fa, i 4. Fissarono la data, lì, per quella sera lì. Renato D’Aiello, alle 7mezzo molla il sax e impugna il cellulare: chiama l’Andrea e gli chiede «Sei per strada?», e il Pozza gli risponde «No, sono a casa» (in procinto di preparare una pasta alla genovese?), e il primo gli dice «Guarda che stasera suoniamo», «Dove?», «A Brescia», «A che ora?!», «Le dieci», «’azz!, arrivoooo...».
Ha spento il gas ed eccolo lì: direttamente dal sedile della sua macchina al seggiolino del pianoforte, puntuale nell’entrare e uscire e far da contraltare all’inveire saxato di Renato, al pizzicare contrabbassato del Muresu, al “”//””,.,°--_/*°*//^;^--//”!:!++/+/!!,”-*.,,.,,./!! del Minetto.
Come «cos’é ’sta roba?» È un frammento dell’assolo di Minetto alla batteria! Non era chiaro?
E del concerto potrei dirti di qui e di là, ma sai...: io, a scuola, in Storia m’obbligavano a studiare le date delle guerre. Anche a te, lo so, e, in un certo senso, che palle, eh? Non credi anche tu che, a volte?... I retroscena, dico. Il volto umano delle vicende, dico. Eh?...
A me, ad es., dei concerti jazz piace anche come i musicisti si guardano tra loro, e di come a volte sorridono di alcune intese e buche e gradini agilmente superati, e sapere che l’Andrea Pozza ha spento il gas ed è piombato lì a suonare da dio e a sorridere in modo umano e tenero, tra gli assoli suoi e gl’altrui...
Fabio Bix
(foto di Pierpaolo Romano)