recensioni
dal BRESCIAOGGI inserto spettacoli - autore FABIO BIX
Gli alberi del Sud hanno frutta strana/ sangue sulle foglie e sulle radici/ un corpo nero ondeggia nella brezza del sud/ frutta strana appesa al pioppo/ Scena pastorale del cavalleresco Sud/ occhi di fuori e la bocca contorta/ Profumo di magnolia dolce e fresco/ poi un odore improvviso di carne che brucia/ Qui c’è la frutta che le cornacchie possono beccare/ che la pioggia può raccogliere/ che il vento può succhiare/ che il sole può marcire/ che gli alberi fanno cadere dai rami/ Ecco uno strano raccolto amaro.
Era una poesia di Lewis Allan. "Strange fruit", il titolo. Insieme al pianista Sonny White, Billie Holiday ne fece una canzone. La prima volta che Lady Day la cantò, il pubblico, bocche siliconate, rimase per un minuto a osservare le mosche pietrificatesi sui tavoli del club. Poi, un qualcuno, in un angolo, s’azzardò a frantumare il silenzio: mani timorose, all’inizio. Poi l’applauso si gonfiò fino a spaccare le catene della rabbia. Lo «strano frutto» che penzola dai rami di un albero è il corpo di un nero linciato.
Federica, un po’ di concerti fa, mi/si chiedeva com’è che il Jazz, dopo circa cent’anni è ancora lì a suonarsi nei Club, spesso (apparentemente) molto simile a se stesso. Forse - mi dico -, è perché l’origine, le viscere, il motore scatenante di quella musica è, dentro, ha, nel profondo sé, un grido, un urlo, un latrato-boato tanto fondo da trascendere l’umano, del cui eco ancora non si vede la fine. Certo, il discorso è molto più complesso, lo so. Lo so. Il discorso è molto più Jazz di quel che si può riassumere in poche righe. Lo so. Ed ha, anche, altri infiniti colori. Come quelli di Betty Vittori, ad esempio, che non è Lady Day/ buon per lei.
Già: Betty non è nata nel Maryland, in quegli anni, col colore sbagliato. Non è stata violentata. Non è il simbolo della solitudine e a sentirla verrebbe il pensiero che abbia avuto un’infanzia felice, da com’è contagioiosa quando canta.
Lunedì scorso all’Antica Birreria della Bornata 46 con lei c’era, al pianoforte, Roberto Soggetti, e non è una questione soggettiva: è davvero bravo, quel soggetto di Soggetti. Idem per Valerio Abeni alla battera e Sandro Massazza al contrabbasso. Ma non sui singoli musici voglio metter l’accento, visto che lì, più che altro, era una questione di insieme. Sul palco il quartetto si divertiva/ idem noi giù nel locale strapieno, compresi quelli appesi alle lampade. E, giusto per farti capire il genere: chiesi a Barbara e a Max di che colore è il jazz che stavan suonando. «Rosso!», dice Barbara. «Sì, arancio», confermò Max. Mmh... a mio avviso aveva il colore del rame, come i capelli di Betty Vittori. Ma con tante striature, capelli e jazz suoi. Come quando faceva gli acuti, che allora temevo per le lampade e gli specchi. Ma Betty ha il controllo totale dei suoni che è/ si fermava un pelo prima d’infrangere i vetri. E, penso: dev’essere una sensazione mica male, sentirsi strumento musicale. Sì, è uno strumento perfettamente accordato, Betty Vittori. Anche un po’ folletto, la Betty, quando saltava da una ninfea all’altra nello stagno argenteo della loro musica, con vocalizzi e note a rincorrersi fino a gettarsi nel mare di applausi a conferma che sì, va davvero bene così, Betty & C!
Fabio Bix