recensioni
Sangha, jazz scintillante
La genialità di Blake, la stravaganza di Hays
Un codice espressivo giocato su ascendenze e discendenze tonali dall’eccentrismo sofisticato e anche un po’ snob, un fraseggio dalla multiformità di soluzioni che, nel ricercato studio di innovazione, attinge alle correnti musicali contemporanee più svariate, come ad esempio la «chill out», ma senza perdere la solidità strutturale del vero jazz statunitense: Sangha Quartet, uno dei gruppi americani più apprezzati nel panorama Jazz, ha portato mercoledì sera in piazza Tebaldo Brusato il fascino di un flusso newyorchese che idealmente cala la platea tra i grattacieli della Grande Mela. Un «Manhattan style» dove il «glamourous sound» richiama la vista sconfinata della «città che non dorme mai» da un open space loft, o evoca gli «aperitive parties» in Central Park, Martini, olive e smoking, oppure ancora scorre col traffico che congestiona le arterie di Brooklyn.
La tradizione del jazz pianistico è forte in Sangha 4et, dove la materia timbrica e armonica non ha unicamente l’ambizione di produrre buona musica, ma di calare ogni esecuzione in un contesto visivo facilmente individuabile, legando alle note le immagini topiche di quella New York ripassata infinite volte nei film. Un jazz scintillante, di chiara lettura, che a tratti sa essere anche sovrappensiero, con qualche punta qui e là di ironico distacco, secondo un’anima «gentleman» anni ’40-50.
Calibratissimo e soffuso l’intervento di Bill Stewart alle percussioni, ideale supporto che assicura lo svolgersi pulito di ordito e trama, discreto il contrabbasso di Doug Weiss, «trait d’union» che imbastisce il tessuto ideale a far sì che non manchi il legatissimo tocco «deep cool» di cui anche gli altri strumenti beneficiano, appoggiandosi e acquistando in grazia una punta in più. Su questa base eccellente, le due star di sax tenore, suonato dall’eclettico Seamus Blake, e di pianoforte, dove il recupero del Fender Rhodes da parte di Kevyn Hays dona all’elemento acustico una peculiare originalità che impartisce distinzione inequivocabile alle performances.
La genialità creativa di Blake non emerge solo dalle improvvisazioni virtuose e fluidissime col sax, vere eufonìe funamboliche a filo di pentagramma, ma sfrutta anche l’inserimento cordiale della voce, mentre Hays si concede la stravaganza del fischiettare scanzonato a mo’ di «american sparetime», mani in tasca e scarpe di vernice, creando una comunicazione con la tessitura generale della strumentazione, e concorrendo ad offrire una visione d’ensemble di grande trasporto espressivo, formalmente signorilissima. E se il jazz di Sangha 4et potesse avere fattezze umane, avrebbe le movenze di Fred Astaire e il volto di Cary Grant.
Il prossimo appuntamento della rassegna «Jazz on the Road» vedrà in scena Fabio Bix con il suo reading letterario "Favelas", accompagnato dai musicisti Daniela Savoldi, Felice Cosmo, Carlo Dodesini, Aldo Bicelli e Stefano Lanfredi.
Maria Elena Loda